Un arioso anello sulle creste degli Ernici

Da Prato di Campoli toccati il Pizzo Deta, il monte Pratillo, il monte del Passeggio ed il monte Fragara


L’otto Dicembre scorso chiudevo il racconto dell’escursione al Ginepro con queste parole : “…gli Ernici, lo ammeto, li ho sottovalutati; sono un gruppo piccolo, ma sono un gioiello di montagne; li ho anche sottostimati nel programmare l’escursione di oggi e ho dovuto drasticamente rivedere il progetto iniziale. Il Pizzo Deta, il mio primo 2000, è rimasto negli occhi, così pure il monte del Passeggio e il Fragara. Ma quella cresta mi ha stregato, appuntamento solo rimandato e spero per poco”. Non era un furore passeggiero, un re-innamoramento del momento, una promessa ad un desiderio non esaudito costruita sull’istinto e buttata là davanti , così, sull’onda dell’entusiasmo della giornata; è bastato un altro week end meraviglioso dal punto di vista meteorologico, un week end in cui si poteva incastrare una giornata di tempo da dedicare alla montagna ed è stato di nuovo Ernici e Pizzo Deta. Decido di cambiare percorso e versante però, raggiungeremo questa volta Prato di Campoli e da li partiremo per andarci a prendere quel Pizzo Deta che mi era rimasto dentro; consultando la stessa carta dei sentieri già usata per il Ginepro, edizioni S.E.L.C.A n°5 – Monti Ernici e Valle Roveto, 1:25.000, prodotta dalla Camera di Commercio dell’Aquila in collaborazione col CAI sezione di Valle Roveto, un bel percorso, un anello, lo avevo evidenziato immediatamente. Quella che è nello stesso tempo traccia e sintesi del percorso prevedeva di attraversare la piana di Prato di Campoli e salendo attraverso il bosco raggiungere il Vado della Rocca, una sella a 1565 mt. , il punto più basso dell’intera cresta, per intercettare il sentiero n° 15 che sale da Roccavivi. Da qui, continuando per cresta saremmo saliti direttamente al Pizzo Deta, e continuando oltre avremmo toccato il Pratillo, il Monte del Passeggio ed il Fragara. Dal Fragara, senza sentiero, per la Costa dei Fiori saremmo “precipitati” a valle proprio in prossimità della fine della strada a Prato di Campoli e quindi nei pressi dell’auto. Forse si trattava di una nuova sottovalutazione del percorso e degli Ernici, raggiungere il Fragara e soprattutto programmare la discesa senza sentiero, a Marina questo tipo di approccio piace davvero poco, poteva significare aver ancora alzato troppo l’asticella e rischiare di incappare in un altro insuccesso? In ogni caso sarebbe stata una decisione da prendere sul posto quella del rientro, sulla base del tempo ancora a disposizione, della stanchezza, l’escursione passava dalla fase del progetto a quella operativa, stavolta il Pizzo Deta lo sentivo di nuovo vicino. Dal lontano 2005 molte cose sono cambiate e raggiungere Prato di Campoli è diventato facilissimo; una volta raggiunto Veroli, anzi nemmeno lo si raggiunge, lo si sfiora solamente, basta seguire i cartelli turistici ben disposti ad ogni incrocio. Il bosco quando si sta per raggiungere la piana è magnifico e pulito, faggi dai fusti altissimi scortano lungo la stradina asfaltata, più in alto si aprono radure attrezzate con i punti fuoco e le panchine , è facile pensare che l’estate sia una meta gettonatissima per le famiglie, ed infine la grande piana dove termina la strada. Parcheggiamo e non siamo i primi, il sole è ancora dietro le creste ed il cielo è di un pallore lattiginoso informe; l’aria è frizzante e ci spinge a rapidi preparativi . Più che rapidi per Marina che per riscaldarsi nemmeno mi aspetta e si inoltra nella lunga piana; la raggiungo che è già a metà della stessa, dove in un fosso che si va formando lentamente nel suo centro iniziano a comparire i primi segnali bianco-rossi dei CAI. La carta che ho citato e che ho usato non dava adito a dubbi, era tracciato il solo sentiero che raggiungeva Vado della Rocca e che avrei voluto seguire, per questo non ci siamo fatti troppe domande ed abbiamo continuato a seguire le bandierine del CAI; ci hanno però condotto su altra direzione, più a Nord rispetto al sentiero riportato sulla carta. A dire il vero qualche dubbio ci era sorto mentre lentamente ci stavamo spostando troppo verso Nord, nel fitto del bosco ci siamo però detti che sarebbe stato meglio seguire una traccia tangibile che procedere a senso, che in ogni caso ci si stava dirigendo verso la cresta e che quindi andava bene così. Incrociamo un cercatore di tartufi, non abbiamo avuto più contatti con i tre che ci avevano preceduto al parcheggio e siamo stati superati da un escursionista solitario dal passo che pur non sembrando veloce era davvero efficacissimo, perso nel giro di cinque minuti. Dentro il bosco non percepiamo i dintorni, vediamo solo la cresta di quello che mi pare di capire essere il monte Fragara. Effettivamente il sentiero ci si dirige letteralmente sotto, era la conferma che avevamo abbandonato la traccia riportata sulla carta. Il bosco che si alza di quota insieme al sole che sale sull’orizzonte, tutto diventa molto più bello, complice anche una luce radente che nel frattempo lo taglia orizzontalmente i colori si infiammano; la ruggine del sottobosco fa da sfondo ad una atmosfera ovattata che si va diffondendo tra gli immobili e spogli rami. So già che le foto che scatto non renderanno giustizia a questo momento. Seguendo il profilo basso della valletta che si insinua all’interno delle montagne ci alziamo costantemente di quota, alla fine riaprendo la carta ci accorgiamo che stiamo seguendo il profilo, a quota più alta rispetto al fondo asciutto, del fosso di Fragara. Intorno a quota 1600/1700 il bosco dirada aprendosi a panorami sempre più belli sul Fragara e sul monte del Passeggio. A tratti, in qualche avvallamento che rimane in ombra, inizia a comparire la neve, il sentiero si fa davvero bello e suggestivo, con cambi di pendenza fila sinuoso ora dentro il bosco ora allo scoperto, si dirige verso la ripida valle del Fragara e poi cambia repentinamente direzione dirigendosi verso Sud, attraversa alti cumuli di neve al confine del bosco per uscire definitivamente dagli alberi sui pratoni ormai in vista della cresta; un piano erboso fino in alto è l’ultimo tratto del sentiero che ci rimane da superare. Cerco di capire dove siamo, di certo completamente fuori dal percorso programmato all’inizio; se quello che abbiamo di fronte è il Fragara, e non ho dubbi, dovremmo uscire in cresta esattamente dalle parti del Pizzo Deta e quella bassa e boscosa sella che vediamo verso Sud deve essere il Vado di Rocca. C’è andata bene, il sentiero che abbiamo seguito è molto arioso e vario, spettacolare e certamente molto piacevole; se avessimo seguito il primo istinto o semplicemente la carta, non saremmo usciti mai dal bosco se non in vista del Deta. Sulle coste erbose procediamo per un lungo tratto verso Sud, attraversiamo folte e basse “fratte” di Ginepri e quando ormai si intravede l’uscita in cresta i segnali CAI ed il sentiero, sempre ben tracciato, nonostante la pendenza del versante, virano di nuovo verso Nord, questa volta fino a condurci finalmente in cresta, esattamente nella poco pronunciata selletta dove dall’altra parte ridiscende il sentiero n°13 del Vallone del Rio che conduce a Rendinara. Non sono un montanaro di consolidata esperienza, c’era qualcosa che non andava nella nostra posizione ma non capivo cosa, deduco che non eravamo dove pensavo di essere solo da una scritta riportata sulla roccia che taglia la sella, anzi a dire il vero la scorge Marina mentre stavamo già procedendo verso Nord. Era il caso di fermarsi un attimo a riflettere. Da quel sottile canalino che sale dal vallone del Rio c’ero salito nove anni fa, mi ricordo che una volta usciti in cresta, per arrivare al Deta ci eravamo diretti a sinistra, verso Sud, alias oggi ci stavamo dirigendo verso il monte del Passeggio, alias non ci stavo capendo nulla. Infatti è bastato concentrarsi un attimo, scacciare i demoni che si erano impossessati di me ed il Deta è sbucato, là in fondo alla cresta, verso Sud, un po’ nascosto dalla mole del Pratillo, più o meno un chilometro più a Sud. Ovviamente invertiamo il senso di marcia, per fortuna avevamo fatto pochi metri e con un breve avvicinamento in cresta, lasciando il Pratillo per il ritorno, siamo nei pressi della croce di vetta e della madonnina. Sono dovuti passare quasi dieci anni per ritornare su questa montagna, il mio primo 2000! Impressionante l’affaccio sul vallone di Peschiomacello; tutta la neve che manca nei versanti Ovest si è accumulata all’interno di questo canalone, sarebbe impossibile salirci ora per quella che è una autentica direttissima per questa montagna. Ci ripariamo dal vento sotto i massi di vetta, un po’ discosti da un solitario escursionista che ci aveva preceduto da poco e che tutto aveva voglia tranne di farsi disturbare in quel magnifico momento catartico che si era creato. Dalla vetta più a Sud degli Ernici si dominava tutto il gruppo, giù fino a Prato Campoli, oltre anche i Cantari e i Simbruini, più lontano ancora fino al mare. Un bel ritorno al Deta, sono stato fortunato. Riprendiamo la discesa fino alla sella del vallone di Peschiomacello per risalire il poco dislivello che ci separa dal Pratillo. Strana questa montagna, insignificante sulle carte, una cima lungo la cresta, così vicina al Deta ma così poderosa e con strapiombi vertiginosi verso valle; mi sono chiesto a lungo perché non ricordassi affatto questa cima, era frutto della poca esperienza, il suo senso ce l’ha. Giù di nuovo dalla cresta del Pratillo verso Nord per riprendere subito dopo l’ultima salita consistente della giornata; dalla sella erano 130 i metri che ci separavano dalla vetta più alta degli Ernici, il monte del Passeggio, 2064 mt . Nell’ottica del Club2000 sono quattro le vette degli Ernici che superano i 2000 metri, tutte sono comprese tra i 2064 mt. di monte del Passeggio e i 2005 mt. del Fragara. Solo il Ginepro, è leggermente spostato più a Nord, lo scrigno degli Ernici è il paradiso dei collezionisti del Club!!! Dal monte del Passeggio la cresta si biforca, per un breve tratto abbandona la dorsale principale Sud/Ovest –Nord/Est, e su questo braccio sinuoso, verso Ovest, tra piccoli saliscendi e creste tagliate di netto, andiamo a raggiungere l’ultimo nostro obiettivo, il monte Fragara, il più basso del gruppo. Molto accattivante questo tratto di cresta, quello di certo più spettacolare per alcuni passaggetti più accattivanti e per qualche cumulo di neve che ti fa credere di essere chissà dove. Questo tratto di cresta è un continuo salire e scendere su varie cime secondarie, non è il linea retta ma compie varie anse rendendo magnifici i tanti colpi d’occhio che si susseguono . La classica situazione in cui con delle appropriate inquadrature si riescono a fare delle foto che fanno sognare, che una volta riviste, ti fanno pensare di essere stati su montagne di altra specie. Un valore aggiunto per gli Ernici direi. Oltre il Fragara abbiamo superato un’altra cima secondaria, ormai eravamo sopra la piana di Prato Campoli, a vista del vallone da cui volevamo scendere. Scendiamo su una pronunciata sella ormai ben sotto quota 2000, non ci rimaneva che scegliere le traiettorie più adatte e buttarci dentro il vallone della Costa dei Fiori. Privo di neve era da fare attenzione solo nei tratti più alti un po’ più ripidi; scalettata come tutte le facce delle montagne prative si scendeva comunque senza problemi. E’ facile sottovalutare le dimensioni in montagna e noi lo abbiamo fatto, Prato di Campoli era li sotto ma dire che non si arrivava mai era poco. Solo voltandosi indietro c’era la netta sensazione che la cresta si allontanasse. Prato di Campoli presentava sempre la stessa lontanissima prospettiva. Inutile descrivere la discesa lungo questa interminabile costa; all’incirca a 1600 metri la pendenza diminuisce ed il calo di attenzione che ne segue rende ancora meno interessante questo tratto di percorso. Più in basso siamo entrati nel bosco che avevamo sulla sinistra, il folto manto delle foglie di sottobosco rendevano più morbido e leggero l’avanzare. Entriamo nella piana di Prato di Campoli rispettando le aspettative, a poche centinaia di metri dall’auto parcheggiata. Esattamente un anello si stava concludendo, un entusiasmante anello di circa 16 km avevamo appena compiuto, con circa 1200 metri di dislivello nelle gambe. Dieci e lode agli Ernici che hanno soddisfatto le aspettative, anzi che mi hanno dato molto di più; uno scrigno di montagne, come mi piace dire, un concentrato di creste e vette centrali agli Appennini, il paradiso per i camminatori e per chi non ama grosse imprese ma ama immergersi nella natura.